Glossario

Per i neonati di basso peso e/o prematuri che hanno bisogno di terapie endovenose o che necessitano di idratazione perché non ancora in grado di nutrirsi da soli, si ricorre al posizionamento di quello che viene chiamato “accesso venoso”. Un accesso può essere periferico (quando si punge una vena di piccolo calibro, abbastanza superficiale, e si infonde in essa) o profondo (cosiddetto accesso venoso centrale, quando si ha bisogno di posizionare la flebo in una vena di grande calibro, con pareti più resistenti, e in grado quindi di ricevere infusioni abbondanti, per lunghi periodi e con concentrazioni anche elevate di nutrienti).
Per la tipologia di piccoli pazienti che assistiamo a Biella, non vi è frequente bisogno di accesso venoso centrale, se non in situazioni specifiche.
Va tenuto presente che recuperare un accesso venoso centrale vuol dire andare a incannulare una vena grossa per evitare che i farmaci o la nutrizione che si veicolano in vena possano danneggiare le vene piccoline periferiche. E ciò è ancora più importante, ovviamente, nel neonato.
La procedura prevede che si parta dalle vene periferiche della manina o dal gomito; con un prelievo si punge il vaso, poi si estrae l’ago e si infila un piccolissimo catetere di materiale plastico, grande quanto un capello, più o meno, studiato per essere in grado di “percorrere“ dalla periferia al centro una grande parte del decorso della vena, senza lesionarne le delicatissime pareti, e rimanere così posizionato anche per periodi di molti giorni.
Si tratta di una manovra delicata e tecnicamente molto difficile, che richiede anche tempo: di norma, 10 minuti, sebbene non sia raro che occorra fare diversi tentativi perché le fragilissime vene del neonato si rompono facilmente.
Tutte le manovre sono sempre praticate sotto sterilità: si tiene il neonato con il telino sterile poi ci si attrezza indossando mascherina, guanti sterili, camice; si cambiano guanti anche più volte per evitare il rischio di infezioni.
Per Counseling prenatale s’intende una serie molto varia di attività consulenziali che si svolgono durante la gravidanza e che mirano a informare e preparare la mamma e il padre sulla situazione di salute del feto e sulle prospettive di salute del neonato alla nascita. Tali attività sono gestite in primis dal Ginecologo, ma sempre in collaborazione virtuosa con il Neonatologo, le Ostetriche, gli Psicologi, i Genetisti e tutti gli specialisti sanitari che di volta in volta può diventare opportuno coinvolgere in tale percorso, mano a mano che il monitoraggio della gravidanza porti in evidenza potenziali situazioni di salute meritevoli di informazione equilibrata, completa e attenta alle sensibilità ed esigenza dei genitori e del nascituro.

La Family Room è costituita da una serie di ambienti ospedalieri dotati di tutto il necessario per l’accudimento del neonato e di arredi adatti a permettere alla mamma ed eventualmente anche al partner di soggiornare giorno e notte, insieme al proprio bambino, nei giorni immediatamente precedenti la dimissione. Nella Family Room i genitori si prendono cura del neonato in prima persona, verificando in sicurezza le capacità di accudimento acquisite in Terapia Intensiva e in Patologia neonatale, rafforzandole con la tranquillità della disponibilità del personale medico e infermieristico del reparto. Si creano così i presupposti per un ritorno a casa in sicurezza anche dei neonati più fragili e prematuri, con una conseguente riduzione del rischio di rientri in ospedale. La Family Room presso l’Asl Biella, annessa al Reparto di Neonatologia, è attiva dal 2017.

La maggior parte dei neonati pretermine richiede un “aggancio”, nel corso perlomeno dei primi mesi di vita, ai servizi di “follow-up”, che implicano la programmazione ed esecuzione di visite presso il Centro Nascita, finalizzate al monitoraggio della crescita e dell’adattamento postnatale del neonato.
L’espressione inglese “follow-up” significa letteralmente “continuare a seguire”; questo è infatti lo scopo dei programmi che si elaborano: non perdere di vista né il piccolo neonato, né la famiglia per garantire loro un supporto sia medico si infermieristico sia gestionale per superare le inevitabili difficoltà e criticità (anche emotive) che la nascita pretermine comporta.
Dal punto di vista più strettamente “tecnico”, nel corso del follow-up l’attenzione è rivolta soprattutto alla crescita ponderale, all’adeguata nutrizione, all’ottimale e armonico sviluppo delle capacità motorie, relazionali e psicoattitudinali del bambino; viene anche garantita, qualora necessaria, l’effettuazione di esami ulteriori rispetto a quelli eseguiti durante il ricovero (es.: ecografie cerebrali, test dell’udito visite oculistiche, visite neurologiche, valutazioni fisiatriche).
La durata del follow-up è in genere inversamente proporzionale al grado di prematurità: neonati moderatamente pretermine (35-36 sett. EG) possono richiedere non più di due-tre mesi di attenzione, altri più prematuri (ad es. sotto le 28 sett. EG) sono seguiti dai Centri Neonatali anche fino ai due anni di vita.
Presso l’Ospedale Sant’Anna di Torino, Neonatologia Ospedaliera, dal 2016 è attivo il gruppo dei Genitori Senior. Si tratta di un gruppo di genitori di neonati (prevalentemente prematuri) che sono stati ricoverati in precedenza presso il reparto di Terapia Intensiva Neonatale dell’Ospedale sant’Anna di Torino. Questi genitori hanno affrontato in prima persona la sfida della prematurità e le difficoltà emotive, personali e umane legate alla condizione di genitori di un neonato che non li segue a casa dopo tre giorni di vita, come avviene ordinariamente, ma deve essere trattenuto in Ospedale in situazioni spesso critiche e incerte. Questi genitori, forti della loro esperienza, rientrano in ospedale e si mettono al servizio di altri genitori come loro per condividere ciò che hanno vissuto, le lezioni che ne hanno tratto e le dinamiche che hanno dovuto sviluppare per superare le difficoltà. Questo modello (che viene anche definito di peer empowerment) si è rivelato vincente in quanto parte dalla condivisione tra pari delle esperienze e delle conoscenze, superando così le barriere costituite dalla differenza di ruoli (genitore vs medico, ad esempio) che possono rendere meno efficace la comunicazione e la trasmissione di informazioni e conoscenze.
L’incubatrice neonatale è un dispositivo medico chiuso, in uso fin dai primi anni del ‘900, che riproduce condizioni simili a quelle della vita intrauterina. Tale dispositivo è destinato ad ospitare neonati prematuri, sottopeso o in precarie condizioni di salute generale, assicurando loro il giusto grado di ossigenazione, temperatura, umidità, nutrimento, fino a quando non siano in grado di sopravvivere autonomamente nelle normali condizioni ambientali.
L’incubatrice serve a dare costante umidità, temperatura e potenzialmente anche ossigeno in più rispetto a quello che respiriamo. Soprattutto sono importanti l’umidità e la temperatura, perché il neonato, specialmente il prematuro, non ha la capacità di termoregolarsi e quindi rischia di avere riscaldamenti rapidi e raffreddamenti altrettanto rapidi; in più, perde umidità, perde cioè del vapore con la traspirazione molto più di noi adulti quindi, se lo lasciassimo in un ambiente come il nostro, lui “si seccherebbe”, si disidraterebbe.
Poi abbiamo altri macchinari che sono i ventilatori e un macchinario che serve per la fototerapia, per il neonato che ha l’ittero, cioè la coloritura gialla della pelle, che viene esposto a questi raggi. Quest’ultimo è una lampada che emette raggi azzurrini, simili a quelli della lampada abbronzante di una volta, che servono a far smaltire la sostanza che si accumula nella pelle: il bimbo sta nell’incubatrice, ma riceve questi raggi luminosi che agevolano il superamento del problema. Nell’ambiente di cura e terapia del neonato pretermine evidenti sono le colonne che consegnano l’ossigeno, l’aria, umidità alla culla, così come gli “attacchi” che servono a regolare la quantità di ossigeno che noi vogliamo far arrivare: lo possiamo far arrivare sia nella culla, quindi per via aerea, sia direttamente nel naso con dei tubicini, delle cannuline. Lo stesso vale per la pressione cioè l’aria: è un discorso tecnico un po’ complicato, ma l’aria che noi respiriamo ha una pressione che è quella di Biella nel giorno d’oggi, ma spesso noi dobbiamo far arrivare l’aria ai neonati con una pressione maggiore perché così riesce ad arrivare fino in fondo alle vie aeree. Quindi è necessario calibrare con attenzione questa pressione. Esistono tabelle e modalità per calcolarla in maniera che arrivi, che l’aria che noi respiriamo non si fermi in bocca, non si fermi alla zona del pomo d’Adamo, ma arrivi fino ai polmoni. Ma deve arrivare in maniera che non sia né troppo poca né troppa: se è troppa, infatti, rischia di fare dei danni perché il polmoncino non è ancora ben maturo, è fragile, una sorta di palloncino che dobbiamo far sì che possa gonfiarsi nella giusta misura.
Abbiamo quindi a disposizione una serie di macchinari che risolvono una serie di problemi, ma dietro la macchina c’è sempre l’uomo, che deve calcolare e capire che macchina ho usato e che modalità.
L’Infermiere Pediatrico è l’operatore sanitario responsabile dell’assistenza infermieristica pediatrica in possesso della laurea triennale in Infermieristica Pediatrica e dell’iscrizione all’Albo professionale. Essere Infermiere Pediatrico significa assistere pazienti che hanno un range d’età variabile tra le 23 settimane gestazionali del neonato pretermine fino ai 17 anni dell’adolescente. Prendersi cura di un bambino significa predisporsi ad una forma di vicinanza sia mentale sia fisica che consideri anche i genitori come parte integrante dell’assistenza. L’Infermiere Pediatrico è responsabile dell’assistenza pediatrica preventiva, curativa, relazionale ed educativa del bambino. Ne riconosce i bisogni e, insieme al Medico, pianifica gli interventi migliori per il bambino stesso.
Il latte materno è un alimento unico e inimitabile. Per questo, la ASL di Biella è diventata punto di raccolta di latte umano donato che viene usato per i neonati che più ne hanno bisogno. Una mamma che allatta può diventare donatrice di latte materno se in buona salute e fino al 6° mese di vita del suo bambino, raccogliendo il proprio latte spremuto, a casa o in ospedale, in appositi contenitori forniti dalla Struttura di Neonatologia. In giorni prestabiliti, il latte materno donato viene raccolto e inviato alla Banca del Latte Umano Donato (BLUD) che ha sede all’Ospedale Sant’Anna di Torino, dove viene controllato e trattato prima di arrivare nei diversi reparti di Neonatologia che lo richiedono.

La marsupioterapia, detta anche Kangaroo mother care, consiste nel tenere il neonato nudo sul seno materno, a contatto diretto con il calore della pelle della mamma, e con la testa girata in modo che il piccolo possa ascoltare il battito della madre. La tecnica deve il suo nome all’analogia con il modo che hanno i marsupiali di prendersi cura dei propri cuccioli; il canguro, infatti, dopo aver messo al mondo i propri piccoli li “incuba” nella propria borsa.
Questa tecnica è nata in Colombia, negli anni Settanta, come metodo per assistere i neonati prematuri: serviva a sostituire le incubatrici, perché non erano disponibili innumero sufficiente negli ospedali. Attualmente, viene utilizzata soprattutto con neonati prematuri, di basso peso, che necessitano di incubatrice. Sebbene si tratti di un approccio pensato per questa categoria di bambini, possono trarne beneficio anche i nati a termine e sani.
Il programma originale colombiano prevedeva che il contatto pelle a pelle fosse continuativo; nella versione più moderna di questo approccio, il contatto diretto tra madre e bambino avviene solo in alcuni momenti della giornata, per un periodo limitato, e si applica solo in neonati stabili, cioè che possono permanere all’esterno dell’incubatrice senza che la saturazione e la frequenza cardiaca subiscano variazioni.
Il tipo di contatto che si crea con la marsupioterapia:

  • aiuta la naturale regolazione della temperatura corporea, che si mantiene costante; il neonato, in questo modo, viene tutelato dallo stress provocato dagli sbalzi di temperatura, secondo una modalità simile a quella che si verificava quando era in utero;
  • è un’esperienza che gratifica sia i genitori sia il piccolo, favorendo il naturale recupero delle condizioni di salute nei neonati prematuri e aiutando la puerpera a superare quei sentimenti negativi che possono insorgere a causa di una gravidanza terminata troppo presto;
  • aiuta la naturale regolazione respiratoria e del ritmo cardiaco del neonato;
  • favorisce l’allattamento materno, in quanto garantisce un facile accesso al seno; il contatto pelle a pelle, inoltre, stimola la produzione di latte;
  • favorisce il sonno: sul petto della mamma i bambini dormono di più e piangono meno;
  • ha riscontri positivi anche per quanto concerne lo sviluppo di coliche gassose: una delle cause della comparsa di queste coliche, tipiche del neonato è l’aria ingerita durante le crisi di pianto; i neonati a contatto con la madre piangono meno e hanno pertanto minori probabilità di soffrire di questo disturbo;
  • favorisce l’attaccamento madre-bambino;
  • fa sì che bambini prematuri recuperino prima e aumentino di peso più in fretta, come hanno dimostrato alcuni studi scientifici.
La cosiddetta “morfologica” è una ecografia che si effettua tra la 19a e la 21a settimana di gravidanza il cui scopo principale è quello di fornire informazioni diagnostiche accurate, che consentano di offrire cure prenatali adeguate e garantire un proseguo della gravidanza sicuro per la madre e per il bambino. Essa consente di determinare l’età gestazionale ed eseguire tutte le misurazioni fetali necessarie a diagnosticare, in modo tempestivo e precoce, eventuali anomalie, comprese le malformazioni congenite o possibili gravidanze multiple.

Il neonato prematuro: qualche dato significativo (valutare se mettere ad es.: incidenza del fenomeno oggi in Italia e nel mondo, settimane di gestazione, con relativi pesi medi, caratteristiche funzionali ed estetiche tipiche: respirazione, circolazione, pelle, ecc., criticità tipiche…).
Un neonato prematuro (o pretermine) è qualunque bambino nato prima delle 37 settimane di età gestazionale (EG) (NB – il termine (i classici “9 mesi”) è 39 sett. EG).
I neonati pretermine non sono tutti uguali e sono distinti, a livello internazionale, a seconda dell’età gestazionale e del peso alla nascita: vedi tabella sotto.

L’età gestazionale non sempre correla perfettamente con il peso alla nascita, ma in linea di massima si può operare questa classificazione:

 
Neonato estremamente pretermine
Età gestazionale (EG) < 28 settimane (EPT), altrimenti detto ELBW (extremely low birth weight) . Qui si parla di grandissimi prematuri, nati tra la 22a e la 28a settimana con peso tra 500 e 1000 grammi. Questi neonati sono in Italia circa l’1% di tutti i neonati, cioè 4- 5 000 all’anno

Neonato pretermine
VLBW (very low birth weight), nati tra la 29a e la 32a settimana con peso tra 1000 e 1500 grammi;

Neonato con prematurità moderata
LBW (low birth weight) ossia prematuri moderati, nati tra la 32a e la 37a settimana con peso tra i 1500 e 2500 grammi;

La frequenza dei parti pretermine in Italia è dell’ordine del 7% di tutte le gravidanze (circa 35-40.000 nati prematuri/anno).

Vi sono differenze regionali legate alla centralizzazione delle gravidanze a rischio.
Alla nascita pretermine può essere associato un aumento della morbilità e della mortalità perinatale, perché la prematurità compromette lo sviluppo anatomo-funzionale dei vari organi ed apparati in modo inversamente proporzionale all’età gestazionale. La condizione d’immaturità che ne consegue è responsabile dell’insorgenza di complicanze cliniche, che interessano principalmente l’apparato respiratorio, mentre quelle a carico del sistema nervoso centrale, dell’intestino e della retina sono in relazione a prematurità grave, a esiti di sofferenza fetale ed asfissia alla nascita.
La maggior parte dei pretermine richiederà numerosi controlli clinici di tipo multidisciplinare nel tempo, il follow-up del bambino pretermine diviene quindi una necessità, non solo dal punto di vista medico nel valutare l’evoluzione delle problematiche a breve e a lungo termine, ma anche per i genitori che dovranno far fronte ad un differente carico assistenziale durante l’accrescimento dei figli onde proseguire nel cammino, irto di difficoltà , verso l’ottenimento di una piena autonomia di vita di questi figli “nati troppo presto”.
È fondamentale accompagnare il neonato e la sua famiglia tramite un accudimento abilitativo, allo scopo di fornire facilitazioni durante le attività della vita quotidiana e offrire valide informazioni e proposte concrete per favorire lo sviluppo e la crescita, promuovendo la sintonia tra i bisogni del bambino e l’ambiente in cui vive (essere in grado di “nutrire il terreno” in cui il bambino cresce).

La Neonatologia dell’Ospedale Degli Infermi di Ponderano, Biella, è una Struttura integrata nel Dipartimento Materno Infantile e si articola con la Struttura Universitaria di Pediatria, la Struttura di Ostetricia e Ginecologia e quella di Neuropsichiatria Infantile.
Le prestazioni erogate includono l’assistenza ai neonati a termine e pretermine, ai neonati sani e patologici, in sala parto e nei primi giorni di vita fino alla dimissione, e post-dimissione seguendo in follow-up specifico tutti quei neonati per i quali vi sia indicazione specifica.
L’umanizzazione delle cure, che pone al centro il neonato, la madre ed il nucleo familiare, inizia in sala parto con la pratica dello skin-to-skin, prosegue in degenza con le pratiche del rooming-in 24 ore su 24 e del sostegno all’allattamento, e prosegue al momento della dimissione e successivamente, garantendo assistenza e un punto di riferimento alla famiglia fino al raggiungimento di una soddisfacente autonomia gestionale della diade madre-bambino.
Nella Neonatologia della ASL BI lavorano Medici Pediatri qualificati, molti di loro in possesso di Master post-specializzazione in Pediatria, coadiuvati da un team di Infermiere con specifica esperienza decennale.

I reparti di Terapia Intensiva Neonatale e i reparti di Semintensiva sono dislocati sul territorio nazionale sulla base di alcuni criteri.
L’assistenza e le cure neonatali in Italia sono organizzati secondo il modello dei Centri I e II livello, cioè di alternanza di Centri “Spoke” e di Centri “Hub”.
I Centri Spoke sono i punti nascita di 1^ livello, ove vengono gestiti neonati fisiologici o con piccola patologia, vale a dire neonati a termine o con minima prematurità (oltre, generalmente, le 34-35 settimane di EG).
I Centri Hub sono i Centri di 2^ livello, dove afferiscono i neonati pretermine sotto le 34 settimane EG, e quelli patologici che non possono essere assistiti, per la complessità delle cure richieste, dai Centri Spoke.
I Centri Hub ricevono neonati complessi e critici sia per via del trasporto in utero (gravidanze complicate vengono direttamente inviate a partorire nel Centro Hub), sia mediante il Trasporto Neonatale Avanzato o di Emergenza (acronimo: STEN), effettuato subito dopo la nascita da Centri Spoke a Centri Hub.
Ogni Regione ha la propria ripartizione in Centri Hub (mediamente uno ogni 500.000 abitanti) e Spoke, con uno o più servizi di STEN gestiti direttamente dai Centri Hub.

La Neonatologia è una branca superspecialistica della Pediatria. In Italia e nel resto del mondo, pur se con differenti sfumature, la Neonatologia non è (ancora) una specializzazione formalmente riconosciuta; tuttavia, di fatto lo è diventata, nel senso che richiede percorsi formativi e di carriera specifici per specializzarsi nella cura del neonato. Tali percorsi includono Master, Corsi specifici su temi quali la ventilazione neonatale, la nutrizione e la neurologia neonatale, così come competenze “tecniche” quali la capacità di posizionare accessi venosi profondi, di intubare e di svolgere manovre anche chirurgiche “salva-vita” in Sala Parto e in emergenza, nonché di saper utilizzare le tecniche ecografiche al letto.
L’operatore socio sanitario è l’operatore che, a seguito dell’attestato di qualifica conseguito al termine di specifica formazione professionale, svolge attività indirizzata a:
a) soddisfare i bisogni primari della persona, nell’ambito delle proprie aree di competenza, in un contesto sia sociale che sanitario;
b) favorire il benessere e l’autonomia dell’utente.
L’OSS, acronimo che sta per “Operatore Socio-Sanitario”, è una figura professionale che svolge attività finalizzate a soddisfare i bisogni primari delle persone, attraverso attività di assistenza e cura. L’OSS fornisce supporto agli operatori sanitari sia in ambito pubblico, con regime di contratto collettivo nazionale di lavoro “Sanità Pubblica Personale non medico”, sia presso i servizi privati.
Questa figura è stata istituita con l’accordo del 22 febbraio del 2001 dalla Conferenza Stato-Regioni, mentre le Leggi 43 dell’1 febbraio 2006 e 3 dell’11 gennaio 2018 ne hanno ulteriormente specificato e ampliato compiti e funzioni.
Per diventare Operatore Socio-Sanitario è necessario frequentare uno specifico corso di formazione professionale della durata di 1000 ore organizzato da un Ente accreditato dalla Regione. Il corso è suddiviso tra una parte teorica e di esercitazioni (circa 450 ore) e una parte di stage (di durata simile) da svolgere in Ospedale, residenze per anziani e contesti territoriali. La qualifica viene acquisita dopo aver superato un esame che è abilitante alla professione.
Si parla di “plasticità cerebrale” in quanto Il cervello del neonato è ancora soggetto a sviluppo anche dopo la nascita e i neuroni continuano a moltiplicarsi e crescere durante tutta l’infanzia ad un ritmo molto rapido. Questo permette al cervello neonatale – a differenza di quanto succede nell’adulto in situazioni similari – di poter rispondere con adattamenti e “riparazioni” ai danni che talora possono essere provocati dalla prematurità estrema.

Il Primary Nursing è un modello clinico assistenziale teorizzato e introdotto dall’Infermiera e docente statunitense Marie Manthey nel 1970, presso l’Ospedale Universitario del Minnesota. Si tratta di un approccio assistenziale che mira a valorizzare le competenze organizzative e relazionali degli Infermieri attraverso una più completa responsabilizzazione verso il paziente. Parte essenziale del modello è la piena accettazione da parte del professionista delle responsabilità a lui attribuite dall’accettazione dell’assistito fino alla sua dimissione. Come descrive Manthey nel suo libro, diverse sono le aree di applicazione della responsabilità:

  • la raccolta e diffusione delle informazioni riguardanti il paziente;
  • la decisione di quali e quante informazioni siano necessarie per le cure del paziente;
  • la decisione di come si debba attuare il piano di cura e quindi la stesura della pianificazione assistenziale, che deve diventare la guida per i colleghi che collaboreranno nel piano assistenziale;

Le attività di cura saranno guidate dalla scelta dell’infermiere responsabile e condivise pienamente con il paziente. Altro aspetto caratterizzante il modello è la pianificazione precoce della dimissione per dare garanzia di continuità delle cure e per garantire al paziente e ai familiari un rientro al domicilio o un trasferimento ad altra struttura più sicuro e agevole.
La perfetta costruzione del binomio infermiere-paziente parte da un’adeguata scelta dell’assegnazione del paziente da parte del Coordinatore sulla base di due criteri essenziali: i bisogni espressi dal paziente stesso e i rischi potenziali derivanti dal percorso clinico, le capacità e le competenze dei propri collaboratori.

Il parto è visto e vissuto generalmente come uno dei momenti più belli dell’esistenza di un essere umano. Purtuttavia, importanti cambiamenti fisiologici accompagnano il processo del parto, smascherando talvolta problemi non evidenti durante la vita intrauterina. Per tale motivo, è necessario che sia presente un Pediatra Neonatologo con competenze rianimatorie al momento del parto per praticare pronta assistenza, se necessario, insieme al team di sala parto.
L’età gestazionale e i parametri di crescita aiutano a identificare e spesso a predire il rischio di patologia neonatale: in generale si può calcolare che circa il 10% nei neonati richiede assistenza respiratoria al momento della nascita. Meno dell’1% ha bisogno di una rianimazione prolungata. Ci sono numerose cause di depressione respiratoria che richiedono la rianimazione alla nascita, ma la principale è legata alla prematurità e al basso peso neonatale: la necessità di rianimazione aumenta significativamente se il peso alla nascita è < 1500 g.
Il punteggio di Apgar si usa per descrivere la condizione cardiorespiratoria e neurologica di un neonato alla nascita. Il punteggio non è uno strumento per guidare la rianimazione o il successivo trattamento e non determina la prognosi di un singolo paziente. Tale punteggio assegna da 0 a 2 punti per ciascuno dei cinque parametri della salute del neonato (aspetto, frequenza cardiaca, risposta al cateterismo nasale e alla stimolazione tattile, tono muscolare, respirazione). I punteggi dipendono dalla maturazione fisiologica e dal peso alla nascita, dal trattamento perinatale della madre, e dalle condizioni cardiorespiratorie e neurologiche fetali. Un punteggio da 7 a 10 a 5 minuti è considerato normale; tra 4 e 6, intermedio; e tra 0 e 3, basso. Ci sono molte cause possibili per punteggi di Apgar bassi (da 0 a 3), compresi problemi gravi e cronici che hanno una prognosi sfavorevole e problemi acuti che possono essere rapidamente risolti e hanno una buona prognosi. Un basso punteggio di Apgar è un reperto clinico e non una diagnosi.

In Italia, è consuetudine e norma bioetica garantire assistenza e sforzi rianimatori ragionevoli a tutti i neonati nati sopra le 23 settimane di età gestazionale. Onde evitare l’accanimento terapeutico e rianimatorio, nel caso di prematuri più estremi (es. 22 settimane EG), ci si attiene alla regola per la quale una rianimazione neonatale va praticata se il neonato, alla nascita, è “vivo e vitale”. Con questi due termini si esprimono sia la presenza di attività cardiaca minima sia la presenza di una qualche reattività spontanea e provocata.
La posizione italiana è comune, approssimativamente, alla maggior parte dei Paesi europei latini e dell’Est Europa, mentre in Paesi come l’Olanda o la Danimarca sono applicati approcci più selettivi, con un innalzamento della barriera di età gestazionale minima per garantire rianimazione.
Le posizioni in campo sono comunque variegate e risentono di approcci culturali ed etici non sempre uniformi.
La sintesi di posizioni ed approcci potenzialmente diversi deve essere sempre cercata nella stretta osservanza di principi di civiltà, dignità e rispetto che sono (o dovrebbero essere) propri di tutte le culture: la sacralità della vita; il rispetto del neonato come individuo dotato di un proprio diritto a decidere; il rispetto dei genitori; la condivisione di ogni scelta potenzialmente impattante sulla sopravvivenza e sulla salute del neonato.
Pur nella difficoltà di trovare posizioni di sintesi, si sono nel tempo creati documenti di riferimento e di consenso, ai quali ci si ispira in questo campo (per l’Italia, in primis la Carta di Firenze e il pronunciamento del Comitato Nazionale per la Bioetica del 2008).

Per la redazione di questo glossario sono stati consultati:

Bellieni C.V., 2010: Il neonato: un apolide morale, in «Medicina e morale», 60, 3: 397-404.
Bompiani A., 2008: Aspetti etici dell’assistenza intensiva e “provvedimenti di fine vita” in epoca neonatale al limite della vitalità, in «Medicina e morale», 58, 2: 227-277.
Lombardi Ricci M., 2015: L’eutanasia neonatale, in Larghero E., Zeppegno G. (edd.), Dalla parte della vita. Fondamenti e percorsi bioetici, Effatà Editrice, Cantalupa.
Viafora C., 2008: Interventi al limite: questioni etiche nelle terapie intensive neonatali, in «Credere oggi», 28, 166: 92-107.

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