Ti chiederei di raccontarmi un po’ in generale la tua storia, quindi dall’inizio, dal momento in cui siete venuti a sapere della malattia di R. e poi tutta la tua storia in quanto persona che ha deciso di donare un organo… una persona che ha quindi fatto una scelta molto importante anche per te stessa… quindi ti chiederei di raccontarmi questo… la tua esperienza…

Sembra ieri. Ho il flashback di quando siamo andati in ufficio dal dott. Berto, dopo che il nostro medico aveva scoperto che R. aveva qualcosa che non andava. Ammetto che inizialmente l’avevamo un po’ presa sottogamba, perché non sapevamo bene di cosa si trattasse, ma quando si è iniziato a parlare di dialisi ci siamo resi conto che la questione non fosse forse proprio una passeggiata.

Io credo che la dialisi ci spaventasse più di tutto il resto. Non tanto la dialisi in sé, ma il fatto di essere legati a questa condizione. Ovviamente ringraziamo che ci sia questa soluzione, perché ti permette di avere una possibilità. Io dico sempre che fino a che ti dicono che c’è una speranza allora va bene, il problema sorge quando ti dicono che non c’è più niente da fare. È un po’ il mio motto.

Come dicevo, ho il flashback di quando il dott. Berto ci ha informati della possibilità di effettuare un trapianto da vivente.

Essendo che io e R. non siamo compatibili, inizialmente l’idea era di inserirci all’interno di una sorta di banca dati che permetteva di trovare qualcuno che avesse una compatibilità con me, a cui avrei donato il rene, e qualcuno compatibile con R., che avrebbe donato a lui. Anche a queste condizioni per me è stato estremamente naturale dire sì, non ho pensato alle conseguenze, anzi. Sapevo che si poteva vivere benissimo senza un rene quindi non ho avuto problemi ad accettare.

Dopo esserci iscritti a questa lista però, il dott. Berto ci ha detto che a Parma erano in grado di svolgere l’intervento anche da non compatibili. Per me era meglio ancora, R. ci avrebbe solo guadagnato perché avrebbe ricevuto un rene più giovane di 9 anni.

Da lì in poi è cominciata tutta la trafila di esami, sia a Biella che a Parma, che ci avrebbe portato al trapianto.

C’è da dire che a R. è andata bene, perché con le pastiglie e i medicinali è sempre riuscito ad evitare la dialisi.

Ormai la macchina andava da sola a Parma, la strada ormai la si faceva in automatico.

Tutto il processo però è stato abbastanza lungo, anche perché l’intervento si sarebbe tenuto fuori provincia, quindi c’è stato bisogno di chiedere il permesso per questioni economiche che avrebbero potuto essere degli impedimenti. Se si fossero verificate delle situazioni simili mi sarebbe veramente scocciata.

Oltre a ciò mi preoccupavo di essere sana io, perché se ci fosse stata anche solo una minima cosa non avrebbero potuto procedere con l’intervento. Io ad ogni esame speravo andasse bene, mi imponevo che dovesse andare bene per forza.

Mi ricordo che ad agosto sono stata ricoverata a Parma per una settimana in modo che potessero farmi tutti gli esami mancanti.

La cosa stava andando un po’ per le lunghe, tant’è che anche il dott. Berto ha consigliato di accelerare le cose perché i valori della creatinina di R. si stavano alzando e sarebbe stato difficile evitare la dialisi ancora per molto.

Siamo poi arrivati al 19 ottobre 2012. Lui è stato ricoverato 10 giorni prima di me perché dovevano fargli dei trattamenti e delle terapie specifiche per abbassargli gli anticorpi ed aggirare il problema della non compatibilità.

Quando siamo stati operati noi a Parma non avevano ancora trasferito tutti i reparti nell’ospedale nuovo e alcuni reparti, tra cui nefrologia e dialisi, erano collocati in diverse casette, quindi lui era di là nel reparto vecchio, mentre io ero praticamente in un hotel di lusso.

Ricordo che mi hanno portata giù mia mamma e mio fratello, anche se io volevo andare da sola, però mia mamma non voleva che dopo l’operazione tornassi a casa da sola. Sentire l’appoggio della nostra famiglia è stato bello.

Anche la gente in ospedale era davvero squisita, era stupenda in tutti i sensi. Ormai per noi era come essere a Biella, eravamo di famiglia, ci conoscevano tutti.

L’operazione anche è andata benone, io mi sono svegliata a mezzogiorno e il primo pensiero è stato quello di avvertire mia mamma perché non volevo che si preoccupasse. Mio papà era mancato da poco e quindi non era una periodo semplice.

Ricordo di esser stata subito informata che anche a R. era andato tutto bene e ricordo anche che mi avevano portato i suoi occhiali, al che io ho detto “ma cosa me ne faccio io? È lui che non ci vede, portateglieli per favore, non posso scendere in reparto io”.

Dopo due o tre giorni dall’operazione sono tornata a casa, è stato tutto abbastanza veloce. Logicamente lui è rimasto in ospedale per più tempo perché aveva altri step da fare prima di essere dimesso.

La cosa che mi preoccupava di più era che R. una volta a casa non prendesse infezioni. Dovevamo usare la mascherina e stare molto attenti. Inoltre, noi a casa abbiamo due cani e due gatti. Ci avevano detto che i gatti dopo l’operazione non sarebbero dovuti entrare in casa, ma io piuttosto che lasciare i gatti fuori avrei fatto uscire R.

Io l’ho vissuta bene, non è stata una cosa che mi ha angosciato. Abbiamo anche avuto la fortuna di esser stati sempre bene. Io sono stata sempre bene. Sono stata operata ad ottobre e a fine novembre andavo già a lavorare. In realtà sarei potuta rientrare anche prima, però ho deciso io di prendermi due settimane in più.

Anche dopo l’operazione andavamo sempre a Parma a fare gli esami di controllo, ma direi che nell’insieme è andato tutto bene e io l’ho vissuta bene.

Mi preoccupava più che altro il fatto che una volta tornati a casa non avremmo più potuto vedere i nostri nipotini, perché sono piccoli e quindi sono portatori di virus e batteri, per cui ci siamo sacrificati all’inizio per quello. Penso sia stato l’unico sacrificio fatto.

C’è stato solo un episodio, era luglio, quindi era già estate, ed erano le tre e mezza di notte. Stavamo dormendo quando R. si è svegliato per andare in bagno e scendendo dal letto, scalzo, ha pestato una delle nostre gatte, la quale si è rigirata e lo ha un po’ graffiato. Graffiandolo gli ha però preso una vera capillare della gamba. In quel momento ho perso 10 anni di vita. C’era sangue dappertutto, non sapevo cosa fare, sono anche scivolata. Avevo paura che R. cadesse anche. Abbiamo cercato di tamponare come potevamo e poi abbiamo chiamato il 118 che, ora che l’ambulanza è arrivata l’emorragia si era praticamente fermata. In quel momento però mi sono davvero spaventata.

Quella mattina R. sarebbe dovuto andare in ospedale a fare gli esami di controllo quindi abbiamo evitato di farlo portare al pronto soccorso dall’ambulanza.

Quando la mattina ci siamo svegliati aveva la gamba che era una macchia rossa unica. Abbiamo subito chiamato il dott. Berto che ci ha fatti andare immediatamente in ospedale dove lo ha visitato un infettivologo. Nel frattempo il dott. Berto aveva già chiamato l’ospedale Maggiore di Parma, per cui sono stata io stessa a dire a R. di far che andare a Parma, perché tanto sicuramente ci avrebbero chiamati. Infatti, all’una di pomeriggio ci hanno telefonato perché volevano visitarlo. Una volta arrivati mi hanno detto che avrebbero preferito tenerlo là per fargli un checkup completo e così è rimasto a Parma per una settimana, otto giorni, in cui gli hanno fatto tutti gli esami possibili. Fortunatamente non gli hanno trovato niente se non un’infezione che non era dovuta al gatto e che è passata da sola. Hanno detto che probabilmente gli aveva fatto reazione a qualcosa, in ogni caso era passata anche quella, anche se io non ho avuto così tanta paura neanche il giorno del trapianto, ero proprio nel panico.

Comunque per me dire di sì al trapianto è stata una cosa naturale, non ci ho pensato, ho detto di sì immediatamente, l’ho vissuta come una cosa normale.

Quindi la decisione diciamo che non è stata proprio maturata.

No no io ho detto di sì subito con il dottor Berto. Ho detto va bene da subito.

L’importante per me era essere sana e che fosse tutto a posto. Mi sarebbe scocciato molto se mi avessero trovato qualcosa che non andava e avessi dovuto dire di no per quello. Invece il fatto che fosse tutto a posto mi ha reso felice.

Io penso che in ogni caso il nostro destino sia già scritto, sia già scritto fin dove dobbiamo arrivare, quindi a fronte di ciò io vivo la vita in modo positivo, cerco sempre di vedere il lato positivo della vita. Per me fino a quando c’è una possibilità va bene.

E quando hai comunicato la tua decisione, cioè immediatamente praticamente, a R. e al resto della vostra famiglia, è stata accettata da subito?

Direi di sì, solo mia mamma mi ha chiesto se fossi sicura perché per lei era una cosa pericolosa, ma io ho sempre pensato che avevo due reni sani, quindi avrei potuto vivere anche con uno. Addirittura mia mamma si è offerta di donarlo lei a R. il rene al posto mio, ma io ovviamente non ho voluto.

Non c’è stato nessuno che mi abbia chiesto “ma perché lo fai?” anzi… a parte due o tre delle mie colleghe il resto delle persone l’hanno sempre reputato un bel gesto. Anche i miei genitori e mio figlio.

Io trovo che poter donare un proprio organo sia una cosa bella. Se fosse per me dovrebbe essere obbligatorio per legge, perché non ha senso buttar via delle cose che potrebbero salvare delle vite. Fino a che non ci sei in mezzo è difficile da capire, però si possono fare tante cose.

Ci sono anche dei bambini, gente giovane che ha bisogno e io credo che se si può aiutare qualcosa a vivere è meglio, è una cosa positiva per tutti.  

Facciamo un passetto indietro ora… e ti chiederei di parlarmi del momento, se ti ricordi, in cui siete venuti a sapere della malattia di R…. proprio il momento in cui l’avete saputo, cosa hai pensato, cosa hai provato… se ti ricordi…

Tra virgolette un po’ di rabbia, perché R. è sempre stato uno un po’ sregolato.

Fino a qualche anno fa era un armadio a quattro stagioni, pesava 130 kg e gli piaceva bere, mangiare e tutte le cose cattive possibili immaginabili.

Questa cosa mi ha sempre fatto rabbia, perché si è proprio trascurato. Gli dicevo sempre di mangiare meno e fare un po’ di movimento, so che probabilmente rompevo le scatole, ma aveva sempre colesterolo e trigliceridi alti, quindi questa cosa mi innervosiva perché se i medici ti dicono di  non fare una cosa tu non la devi fare. Oltretutto lui aveva male ad un ginocchio e alle caviglie ancora da quando giocava a basket, per cui andava avanti ad Aulin tutte le mattine. Lo teneva nel portafogli, tant’è che io lo dicevo sempre “soldi e Aulin”. Io gliel’ho poi detto che si era intossicato con quella roba e glielo rinfaccio ancora adesso. Non mi interessa se sia stato davvero quello il motivo per cui si è reso necessario un trapianto o meno, ma non era possibile andare avanti così. Quindi sì, da una parte ho provato rabbia perché se magari si fosse curato in tempo… poi per carità, se doveva accadergli gli sarebbe accaduto, però di certo non ha aiutato.

Adesso fortunatamente si è rimesso un po’ in quadro, ha perso 40 kg quindi tanto di cappello, però è importante che si voglia un po’ più bene.

E la vostra vita è cambiata dal momento in cui siete venuti a sapere della malattia a quello del trapianto? Ci sono stati dei cambiamenti? Anche per te, per renderti poi tra virgolette compatibile…

Ma direi di no, ero più preoccupata sicuramente, perché comunque quel periodo lì è stato abbastanza impegnativo. Anche per via delle medicine, gli esami, in più R., come ti dicevo prima, in quel periodo era un po’ menefreghista e si interessava un po’ più a tutto il resto più che alla sua salute, però a parte quello per me non è cambiato tra virgolette niente, quello che facevo prima ho continuato a farlo.

Il periodo dell’attesa sostanzialmente, come lo hai vissuto? Il momento proprio in cui hai saputo che avresti potuto donare e poi tutta la fase fino al momento proprio della donazione…

Ma l’ho vissuta bene, nel senso che per me la tiravano anche troppo per le lunghe, fosse per me avrei cercato di accelerare tutto, ma più che altro per lui perché comunque più passava il tempo più lui peggiorava.

In ogni caso, tolto il fatto che avrei voluto farlo un po’ più velocemente, direi che l’ho vissuta bene.

Durante questa attesa avevi delle aspettative su come sarebbe poi andato il trapianto? Come lo immaginavi?

Di certo speravo che andasse tutto bene. Non ho mai pensato a possibili conseguenze negative.  

Io mi dicevo che doveva andare bene per forza perché dopo tutti gli esami fatti non poteva andare male. Cercavo sempre di vedere il lato positivo delle cose perché più si pensa negativo più le cose  negative si chiamano. Io penso che non faccia tanto bene pensare negativo.

Sicuramente all’inizio, i primi giorni dopo il trapianto li ho passati un po’ con l’ansia, poi piano piano vedendo che le cose andavano bene mi sono rilassata. Più che altro le preoccupazioni erano comunque sempre per lui più che per me.

In ogni caso cercavo di vedere le cose positive perché era una cosa che ci avrebbe permesso di riprendere in mano la nostra vita, di fare le cose che facevamo prima, poterci muovere.

Quindi in realtà la vostra vita quotidiana fino al momento del trapianto…

…È sempre stata normalissima. Anche lui ha sempre lavorato, abbiamo sempre fatto una vita normale tra virgolette. Ovviamente dovevamo fare gli esami, i prelievi, lui prendeva i suoi medicinali, ma la nostra vita procedeva normalmente.

Io trovo che questa malattia sia molto subdola, perché se non fai un esame del sangue non te ne accorgi neanche perché non manifesta sintomi come ad esempio il mal di pancia, quindi noi siamo stati molto fortunati ad accorgercene in tempo.  

E invece ti ricordi i momenti proprio prima dell’ingresso in ospedale… prima dell’operazione e gli attimi proprio prima di entrare in sala operatoria, come ti sentivi?

Ma io mi sentivo bene. Devo dire che io gli ospedali non li ho mai vissuti malamente, per cui stavo bene, sapevo che ero in ottime mani, mi sentivo proprio tranquilla. Mi dicevo che sarebbe andato tutto bene perché loro erano i migliori, perché effettivamente eravamo davvero nelle mani di gente bravissima. Poi passando un anno praticamente ad andare e venire da quell’ospedale conoscevamo già tutti, eravamo come una famiglia praticamente. In più sentire che c’era gente da tutta Italia che veniva apposta per farsi operare lì sicuramente era una cosa che mi tranquillizzava. Tutti quelli con cui avevo parlato che avevano già avuto un’esperienza simile prima di noi si erano trovati benissimo e quindi sono andata proprio tranquilla.

Il primo pensiero che hai avuto invece quando ti sei svegliata?

Ho pensato subito a come fosse andata l’operazione di R, se fosse andato tutto bene. Mi hanno subito rassicurata dicendo che tutto era andato come doveva andare. Dopo poco ci siamo anche sentiti al telefono e poi sono passata a trovarlo prima di andare a casa, tre giorni dopo la mia operazione. In ogni caso l’ho sentito subito bene e quello per me era l’importante.

Il trapianto ha modificato in qualche modo la tua vita con R.? Ha cambiato il vostro rapporto?

Sicuramente ci ha avvicinati di più. Lui dice che ora lo controllo di più perché ha un mio pezzo dentro di lui, ma questa cosa ci ha davvero avvicinati di più.  

Diciamo che io sono forse ancora più protettiva, gli sto più col fiato sul collo perché ovviamente c’è sempre un po’ di paura se si fa male, ma penso sia normale. Poi io di mio sono un po’ una chioccia e devo avere sempre tutto sotto controllo.

Quindi la vostra famiglia, tolto il momento iniziale, vi è sempre stata d’aiuto?

Sì sì sicuramente, anche mia mamma, mio figlio. Giustamente si preoccupano, però tutti quanti positivamente. Nessuno mi ha mai detto “no non dovevi farlo”, anzi sono stati tutti ben contenti di quello che ho fatto e di come è andata.

Avete dei progetti adesso? Anche se adesso è un po’ che è passato il trapianto… però dei progetti, dei sogni delle cose che vi siete detti?

Diciamo che c’è una cosa a cui stiamo pensando da un po’… quando andremo in pensione tutti e due vorremmo andare via dall’Italia. Ovviamente dovremo trovare un posto che non sia troppo lontano per poter continuare a fare i controlli.

A noi è sempre piaciuto viaggiare, quando abbiamo avuto la possibilità siamo sempre andati in giro. Sicuramente gli animali ci vincolano un po’, perché con quattro animali bisogna fare delle scelte.  

E queste progettualità sono rimaste le stesse che avevate prima del trapianto oppure con il trapianto sono un po’ cambiate? Nel senso avete un po’ cambiato modo di vedere le cose?

No quello no, più che altro dovremo trovare un posto in cui la sanità è abbastanza buona.  Per il resto i nostri progetti han sempre riguardato la casa, l’orto, il giardino, i bambini e direi che non sono cambiati.

Siamo arrivati praticamente un po’ alla fine… c’è qualcos’altro che magari mi vuoi raccontare? Qualche episodio o qualcosa che io non ti ho chiesto, qualche pensiero o emozione che hai vissuto tu particolare… qualche aneddoto?

mmm… mi sembra di averle dette quasi tutte… mmm…

Mi ricordo che parlavi di momenti in cui tenevi sempre la valigia in macchina…

Sì, quella lì la tenevo lì sempre perché il primo anno andavamo spesso a Parma e non sapevamo mai se l’avrebbero poi tenuto lì per qualche giorno oppure no.

Ad esempio a dicembre aveva un po’ di febbriciattola e quindi è rimasto in ospedale. Io sono andata giù la Viglia di Natale per riprenderlo, ma mi hanno detto che non lo avrebbero mandato a casa.

Dopo il trapianto questo?

Sì sì, a dicembre, quindi due mesi dopo il trapianto. Quando mi hanno detto che c’era un po’ di febbre e non lo avrebbero fatto tornare a casa ho veramente odiato R., mi ha fatto proprio girare le scatole, perché non capivo perché mi avesse fatta andare giù lo stesso la Vigilia di Natale.

Poi sono andata a riprenderlo per l’ultimo dell’anno perché lui si era impuntato e aveva detto ai medici che non voleva passare il compleanno in ospedale, piuttosto sarebbe anche tornato il giorno dopo, ma voleva tornare a casa per festeggiare.

Quindi sì, viaggiavo sempre con la valigia in macchina, sempre. Perché quando andavamo a fare gli esami, soprattutto all’inizio che li faceva tra volte a settima, quindi un giorno sì e un no, in base agli esiti c’era l’eventualità che dovesse fermarsi.

Quando abbiamo iniziato poi a fare gli esami una volta a settimana per noi era già una vittoria, una grande vittoria, perché voleva dire che le cose stavano andando per il verso giusto.

Diciamo comunque che la valigia è il mio talismano. Anche R. mi prendeva in giro per questo fatto, ma non era come essere a Biella che potevo andare a casa a prendergli delle cose e portargliele, quindi era importante averla.

E quindi come hai vissuto quel periodo? Proprio tu intendo…

Quel periodo lì è stato un po’ duro e angosciante, più che altro il fatto di fare avanti e indietro da Parma da sola è stato un po’ pesante. In più una volta tornata a casa da sola continuavo ad avere il pensiero di averlo lasciato là. Poi per carità, avevamo il tablet e il computer quindi avevamo la possibilità di vederci e sentirci, però non era a casa quindi non era la stessa cosa.

Però venivo a casa e avevo le mie passioni, i miei animali che mi facevano compagnia.

Comunque sì, mi ricordo tutti i viaggi che ci siamo fatti per andare fino a Parma, che non erano proprio il massimo perché abbiamo fatto avanti e indietro per tutto l’inverno quindi è stato abbastanza pesante.

Adesso gli esami li facciamo a Novara e andare a Novara non è veramente niente, ma siamo comunque sempre legati a Parma anche se non siamo più andati per la questione del covid.

In ogni caso gli stessi esami che ci facevano a Parma ora li possono fare anche a Biella e quindi siamo seguitissimi anche qui.

Il fatto di essere così seguiti vi limita in qualche modo?

No no, anzi, mi fa sentire tranquilla. Ad esempio ho avuto un problemino, nel senso che avevo un adenoma su una paratiroide che mi portava ad avere il calcio alto, allora mi hanno fatto parlare con un chirurgo di Biella specializzato in questo tipo di cose che mi ha operata e me l’ha tolta e ora sto bene.

Tutto questo per dire che è bello essere così seguita, perché probabilmente tutti questi esami altrimenti non li farei neanche, quindi mi sento molto fortunata.

Va bene, io direi che siamo praticamente arrivati alla fine… ti chiederei… se dovessi utilizzare tre parole chiave per poter descrivere un po’ tutto il percorso… quali potrebbero essere?

Direi speranza, vita e amore.

In ultimo, se dovessi parlare con qualcuno che sta iniziando adesso questo percorso cosa gli diresti?

Sicuramente gli direi che è una cosa bella e che è importante vedere sempre il lato positivo della cosa che si sta facendo. Penso sia una cosa che si può fare benissimo, che non limita assolutamente la vita e che secondo me nel momento in cui si fa un gesto del genere si è più protetti degli altri, sono dell’idea che ci sarà sicuramente un angelo custode in più che ti guarda.

Io credo che il gesto del donare sia davvero una cosa bella da fare, che si può fare e soprattutto si deve fare. Anche perché si può vivere benissimo con un rene solo. Il dott. Berto mi ha detto che ci sono persone che nascono con un solo rene e neanche se ne accorge.

Ecco penso che direi qualcosa del genere, poi io sono la prova vivente che si può fare.

In più sottolineerei che pensare positivo è davvero, davvero importante perché aiuta tanto.

Grazie… io direi che abbiamo parlato un po’ di tutto, se c’è qualcosa che ancora vuoi aggiungere…

Direi di no, più che altro spero di essere un esempio, un buon esempio per magari qualcuno che è titubante. Io penso che più gente ne parla meglio è.

Per quanto mi riguarda io penso che dovrebbe esserci una legge che obblighi le persone, nel caso in cui capiti qualcosa, a donare i propri organi perché magari ci sono dieci persone che aspettano di essere aiutate.